Gianluigi Monniello
Quale la storia del corpo in psicoanalisi?
In una lettera a Ferenczi, Freud (2 ottobre 1912) scrive: «Sono stato colpito dall’influenza che qui imperversa, ma che ha potuto danneggiare solo l’involucro esterno del povero Konrad». Freud chiama il suo corpo con un nome proprio, come se si trattasse di un compagno di viaggio, talvolta molto pesante, ma da tollerare quasi con distacco. È possibile ipotizzare che questa posizione interna lo abbia aiutato a sostenere, con stoicismo, le circa trentatré operazioni a seguito della sua leuplasia alla mascella.
ARTICOLI ORIGINALI
ADOLESCENZA, CONDOTTE A RISCHIO E RITI PERSONALI
La prospettiva antropologica
David Le Breton
LE NUOVE PATOLOGIE DEGLI ADOLESCENTI
Anna Maria Nicolò, Emanuela Romagnoli
I TRADIMENTI DEL CORPO
Maria Antonietta Fenu
L’OMOFOBIA: SPINA PROFONDA NELLA FORMAZIONE DELL’IDENTITÀ OMOSESSUALE
Angela Gesuè
L’ADOLESCENTE E IL NEGATIVO
Francesco Mancuso
RAMMENTARE, RICORDARE, RIMEMBRARE FORSE…
Paola Carbone
APPORTI CLINICI
NON PIÙ BAMBINO NON ANCORA ADOLESCENTE
Seconda Parte
Marina Sapio
PER AIUTARLI A CRESCERE
La rappresentazione del rischio in adolescenza
Daniele Biondo, Alice Antonelli, Maria Teresa Devito, Fabrizia Di Lalla, Adriana Dondona, Stefania Palazzi
SCRIVERE PER FORMARSI
Quando ad essere osservato è il padre
Elisa Casini
Biondo D., Fare gruppo con gli adolescenti
Gianluigi Monniello
Bria P., Busato Barbaglio C., Riandi L., La voce del corpo
Alessandra Porrini
Mitrani J.L., Bodily centered protections in adolescence: An extension of the work of Frances Tustin
Tiziana Catta
VIII Convegno Nazionale Gruppi Adolescenza. L’adolescente prende corpo
Anna Maria Dalba
Tale linguaggio mi ha evocato il «lui», interlocutore più genitalizzato, con cui dialoga il personaggio di Moravia, Federico, intellettuale velleitario, nel romanzo Io e lui (1971). Certamente il silenzioso dialogo interiore con il proprio corpo vive in diverse forme e costruisce diverse figure del corpo in ogni persona e nelle diverse epoche della vita.
Immaginiamo che un bambino pianga nella notte e che la madre non riesca in nessun modo a consolarlo. La mamma è angosciata, disperata e impotente. Il bambino continua a piangere fino a quando, esausto, si addormenta. In fondo è stato soprattutto lo sfinimento fisico ad acquietarlo, piuttosto che l’apporto relazionale della madre o la sua capacità di rêverie.
Penso che questo esempio possa aiutarci a riflettere e a costruire risposte progressivamente più adeguate alle molteplici soluzioni di sfinimento che, dolorosamente, tanti adolescenti ricercano con determinazione per arginare la loro sofferenza psichica.
La via della somatizzazione è un processo naturale di smaltimento degli stimoli percettivi ed emotivi. Tale processo può fallire quando è chiamato a sostituire quasi in toto il necessario lavoro psichico. La soluzione che passa in forma troppo diretta attraverso il corpo e il suo funzionamento è particolarmente operante quando non è possibile attingere all’appoggio ambientale esterno, per carenze ambientali o per sovraccarico traumatico. Tutto ciò può essere in gioco in epoche precoci dello sviluppo ma anche nelle altre epoche della vita.
Quando il corpo lavora al posto della psiche quale è il prezzo che paga l’unità psiche/soma?
Il corpo registra e cerca di tradurre nel suo linguaggio tutte le comunicazioni, i messaggi che gli vengono rivolti dall’esterno e dall’interno. Non va perciò dimenticata la questione dell’inconscio nel corpo. Del resto arrivare a prendersi cura del proprio corpo, ascoltarlo e decifrarlo quando invia messaggi di malessere è un lungo e complesso impegno per chiunque, peraltro interminabile.
Il pensiero freudiano ci ha insegnato che un’energia sessuale, denominata libido, prende per così dire corpo concentrandosi in determinate zone o regioni somatiche di volta in volta particolarmente eccitabili e reattive: le cosiddette zone erogene. Questo modello si è notevolmente approfondito e si è fatto più complesso sulla scia della ricerca psicoanalitica sui processi precoci relazionali e di sviluppo. D’altra parte già Agostino (470), parlando della propria madre, la chiama «la madre della mia carne». Penso che questa espressione esprima, in modo straordinario, molti dei contenuti dell’attuale pensiero psicoanalitico.
Potremmo dire che l’ombra dell’oggetto cade sull’Io-corpo e si incarna in lui, senza una vera e propria metabolizzazione, quando qualche impedimento si interpone ad un dialogo sufficientemente buono fra bambino e ambiente di accudimento. Così Anzieu (1985) scrive:
Il mio interesse è rivolto al corpo inteso come una dimensione vitale della realtà umana, come dato globale presessuale e irriducibile, come quello sul quale le funzioni psichiche trovano tutte il loro appoggio.
Ciò che andava studiato era, per Anzieu, il ruolo della deprivazione materna nel fallimento della costruzione di un’immagine del corpo sicura, nel corso della prima infanzia. Sul tema ritorna con grande chiarezza Egle Laufer (2005), che scrive:
Ho voluto utilizzare il concetto di corpo come oggetto interno in quanto rappresentazione della relazione affettiva al corpo che deriva dalla re- lazione madre-bambino provata soggettivamente, in altre parole, il corpo erotico; diventa così possibile differenziare questo concetto da quello dell’immagine del corpo, pur stabilendo un legame fra i due.
Ma quali possono essere allora le figure del corpo in adolescenza?
La centralità del corpo sessuato è ovviamente in primo piano, a par- tire da Tre saggi sulla teoria sessuale (1905) di Freud. Il complesso lavoro della sua integrazione nello psichismo, nel tempo che segue l’avvento della pubertà, definisce la specificità della psicoanalisi dell’adolescenza. Innanzitutto il confronto con la dimensione orgasmica della sessualità sconvolge il linguaggio della sessualità perversa polimorfa infantile e pone la questione dell’identità sessuale e della complementarietà dei sessi. Il tema del corpo sessuato rappresenta il punto di repere della psicoanalisi dell’adolescenza. La sua integrazione nella vita psichica costituisce il lavoro del pubertario, che non può essere condotto in economia, salvo sacrificare la salute mentale. Haynal (2006) riferisce che:
Nella storia della psicoanalisi c’è in Francia una tradizione orale che sostiene che ancora negli anni Cinquanta Maurice Bouvet (SPP) usava fare la visita medica, proprio Bouvet che a quel tempo era considerato il prototipo e l’esempio del perfetto analista, una specie di santo laico che rappresentava la perfezione analitica, come molti dei pionieri della psicoanalisi».
Quanto sarebbe utile tale attenzione al corpo in certi trattamenti di pazienti adolescenti? Come facilitare il riconoscimento delle diverse parti del proprio corpo e come andare incontro ai dubbi sulle caratteristiche dei propri genitali?
La riflessione sul corpo in adolescenza interroga su quanto la sofferenza psichica possa trovare una espressione attraverso il corpo sofferente e quanto la possibilità di una seconda occasione di rimaneggiamento psichico possa appoggiarsi sulle trasformazioni della pubertà.
Si può passare dal corpo valorizzato, al corpo feticizzato, fino ad arrivare al diniego del corpo. Così, ad esempio, negli adolescenti autolesionisti, è il corpo in quanto carne ad essere chiamato in causa, quale appoggio per segnalare, attraverso tutti i canali sensoriali e percettivi, l’esistenza della vita psichica. Per questo il corpo è esplorato a fondo, vivisezionato. Come ho ricordato, nel vivo della carne e nel calore e colore del proprio sangue si ricerca ciò che dell’Altro, del caregiver, è stato incarnato, al tempo delle origini, in intense e viscerali relazioni precoci. Tale china autodistruttiva, attivamente imboccata per scongiurare vissuti intollerabili di passivazione, sembra essere quella di costruirsi il sicuro convincimento di poter almeno disporre, onnipotentemente, del proprio corpo. Ritengo che la sintomatologia adolescente delle condotte a rischio e autolesive tradisca, per difetto, un’esigenza di organizzazione simbolica della relazione d’oggetto, della relazione sociale e della relazione con il mondo nel suo complesso. In sintesi, il necessario abbandono dell’identità infantile non sfocia in questi casi nella ristrutturazione adulta: la frattura, il taglio tra infanzia e pubertà non si compie. Il rito iniziatico imposto dal mondo degli adulti, che dovrebbe sostenere il valore simbolico del taglio necessario, impedito e degradato, vissuto in proprio in assenza di apporti libidici altrui, ripiega sul corpo, attraverso gli automatismi di un narcisismo depauperato.
Parlando con questi adolescenti riscontriamo modelli autoesplicativi che si collocano all’interno di un ventaglio che va dall’autoregolazione interna all’autopunizione, dal bisogno di sentirsi vivi alla necessità di esprimersi all’esterno. Si passa cioè dalla conversione nel linguaggio del corpo delle fantasie edipiche e incestuose (modello dell’isteria), alla ricerca del limite attraverso l’attività senso-motoria, forse distruttiva ma che argina distruttività peggiori, alla relazione feticistica con il proprio corpo che diventa una cosa, al contempo, animata e desanimata (Kestemberg 1978).
La lesione diventa così il mezzo di sopravvivenza, una vera e propria autochirurgia. L’attentato all’integrità del corpo allontana l’idea di morire. La disperazione emotiva è arginata dalla sofferenza autoinflitta, lo spostamento sulla ferita, sul sangue che fa la sua comparsa, s’impone ai sensi, distoglie e distrae. Le rituali preparazioni all’atto costituiscono comportamenti iterativi che dilatano il tempo e acquietano, calmano. Sono brevi momenti di «impossessamento desessualizzato di se stessi», che permettono di apprendere dall’esperienza. L’autolesionista si fa artefice della propria ferita, ne stabilisce i limiti e li controlla, gioca il ruolo di carnefice e di vittima, allontanando l’ombra mortificante della sua condizione di essere assoggettato, colonizzato dall’oggetto. I sentimenti di depersonalizzazione e di derealizzazione sono fronteggiati costruendo una neorealtà corporea personale, prendendosi cura del proprio corpo ferito. Per di più, di tutto ciò si può parlare, le proprie lesioni e tutta la vita attiva che ad esse è legata assumono una funzione comunicativa straordinaria, permettendo di uscire dall’isolamento e dall’anonimato. Al linguaggio delle parole si sostituisce quello delle ferite.
Le condotte autolesive corrispondono così a un doppio rivolgimento della pulsione dall’attività verso la passività e dall’oggetto verso l’Io, suscettibile sia di portare al ritiro e alla regressione sia di favorire un sentimento di interiorità e di soggettualità.
Il lavoro clinico con l’adolescente ci apre quindi anche a un’altra considerazione. In adolescenza si svela come «il corpo, proprio in quanto Io-corporeo, può diventare di grande aiuto come istanza egoica supplementare che raccoglie le identificazioni degli oggetti separati» (De Silvestris 2006). Possono così emergere e sciogliersi le identificazioni corporee che hanno diluito i processi di differenziazione, rendendoli più tollerabili e percorribili. L’adolescente intuisce con chiarezza che ha di fronte a sé la prospettiva di mettersi nel proprio corpo.
AGOSTINO (470). Le confessioni. Parma: Luigi Battei, 1983.
ANZIEU D. (1985). L’Io-Pelle. Roma: Edizioni Borla, 1987.
DE SILVESTRIS P. (2006). La difficile identità. Roma: Edizioni Borla.
FREUD S. (1905). Tre saggi sulla teoria sessuale. In: OSF. Vol. 4. Torino: Bo- ringhieri.
FREUD S., FERENCZI S. (1908-1919). Lettere 1908-1919. Voll. 1 e 2, Milano: Raffaello Cortina.
HAYNAL A. (2008). La Storia del Corpo in Psicoanalisi: Freud, Ferenczi e Grod- deck. In: Corpo e Psicoanalisi, a cura di Paolo Cotrufo. Roma: Edizioni Borla.
KESTEMBERG E. (1978). La relation fétichique à l’objet. Revue Française de Psychanalyse, 42, 195-215.
LAUFER M. E. (2005). Le corps comme objet interne. Adolescence, 23, 2, 363- 379.
MORAVIA A. (1971). Io e lui. Torino: Bompiani Editore.