Gianluigi Monniello
La formazione, il formare e il formarsi, indica «la maturazione delle facoltà psichiche e intellettuali dovute allo studio e all’esperienza». Come si può osservare dall’etimo il processo di formazione impegna nel lavoro di elaborazione sia il formatore sia colui che è motivato a formarsi. Accanto a questa definizione, che segnala la dimensione intersoggettiva di tale processo, ci sono altri due significati che possono arricchire la riflessione sul tema.
ARTICOLI ORIGINALI
LA RIMOZIONE
Gianluigi Monniello
LA SUBLIMAZIONE PUBERTARIA
Philippe Gutton
LAVORARE CON I GENITORI DEGLI ADOLESCENTI
Paola Carbone
“PER TERMINARE”
UNA CO-COSTRUZIONE INTERGENERAZIONALE
Annie Birraux
SUPERVISIONE A RÊVERIE
Cinzia Lucantoni
DUE PAROLE SULLA SUPERVISIONE COME ESPERIENZA FORMATIVA
Marysa Gino
LA GRUPPALITÀ NELLA FORMAZIONE
Daniele Biondo, Angelo Bonaminio, Diana Burratti, Roberta Gori, Mario Manilia, Selenia Mattioli, Giusy Daniela Spagna, Arianna Valerii
OSSERVAZIONE MADRE-BAMBINO E FORMAZIONE
Cinzia Lucantoni
APPORTI CLINICI
IL DENARO NELLA STANZA DI TERAPIA.
“UN PENNY PER I TUOI PENSIERI”
Mariangela Bezzi, Mario Manilia, Santa Pozzoli, Marta Tonelli, Maria Katiuscia Zerbi
SAPER FINIRE
Il limite nella conclusione dell’analisi
Anna Maria Dalba
SCRIVERE PER FORMARSI
L’OSSERVAZIONE DI UNA MADRE E DUE BAMBINI
Dalla partecipazione allo sviluppo delle competenze
Maria Grasso
ARTE, CINEMA E LETTERATURA
Si alza il vento
Paola Catarci
(a cura di) Montinari G. Adolescenze e psicoanalisi oggi nel pensiero italiano
Cristiano Curto
Castellazzi V.L. L’omosessualità. Una lettura psicoanalitica
Giada Di Veroli
Goisis P.R. Costruire l’adolescenza. Tra immedesimazioni e bisogni
Lauro Quadrana
Da un lato c’è l’idea di disporre più persone in un certo modo, tipica del linguaggio militare o sportivo; dall’altro c’è un significato geologico che indica un complesso roccioso distinto dalle sovrastanti o sottostanti per particolari caratteri. Tutto ciò solleva la questione relativa a come mettere in forma senza deformare la persona in formazione, senza indicare punti di vista costruiti a tavolino in base a ben definite posizioni teoriche o un assetto analitico rigido e schematico che non considera a sufficienza le caratteristiche del singolo caso. Inoltre chiama a riconoscere e mitigare aspetti caratteriali che potrebbero limitare l’empatia del giovane terapeuta di fronte ad alcune manifestazioni di sofferenza psichica.
Il tema della formazione ha poi generato la necessità di edificare l’istituzione psicoanalitica, indotto a definire i passaggi necessari per appartenere al gruppo degli psicoanalisti, a stabilire i criteri per valutare l’operato dello psicoanalista e la sua capacità di esercitare la professione alla luce del metodo psicoanalitico. Ricordo che negli anni di Freud si diventava psicoanalisti dopo un certo periodo di tempo, peraltro molto breve rispetto alle epoche successive, e un limitato numero di sedute di psicoanalisi con il Maestro. Poi, per captazione, si era invitati a partecipare ai mercoledì sera di casa Freud.
Parlare poi di formazione dello psicoanalista dell’adolescente apre alla storia delle tante difficoltà incontrate, in precedenza era stato controverso parlare di psicoanalista del bambino, per veder riconosciuta dai Colleghi la specificità di diversi aspetti del lavoro analitico di tali pazienti non sovrapponibili a quelli incontrati con l’adulto. In realtà il tema della formazione trova sia attraverso il lavoro con i bambini e in quello con gli adolescenti interlocutori molto arricchenti e stimolanti. Basti pensare al naturale accostamento con la definizione dell’adolescenza, quale periodo di formazione della persona. Come non pensare, infatti, ai romanzi di formazione, dove l’argomento trattato è il passaggio dall’infanzia ai vissuti che fanno seguito alla pubertà? L’individuo diventa persona grazie all’organizzazione della stima verso se stesso, alla benevolenza verso l’altro, all’apporto di una istituzione giusta (Ricoeur 1983), alla considerazione della vita sociale. Così lo psicoanalista si forma attraverso la sua analisi personale che lo porta ad appropriarsi del proprio mondo interno e dei propri funzionamenti, al conseguimento dell’«uso dell’oggetto», alla naturale ricerca dell’altro, all’apprezzamento di quanto l’altro ha saputo realizzare e creare e alla sua viva appartenenza ad una istituzione psicoanalitica che sappia mantenersi in contatto autentico, profondo e dinamico con il metodo, la clinica, la teoria e i fatti del mondo che ci circonda.
La psicoanalisi dell’adolescenza ha portato a riconoscere come l’analisi personale sia chiamata ad esplorare a fondo anche l’adolescen- za del futuro psicoanalista, aspetto da tempo evidenziato e sollecitato (Laufer 1978) a fronte di una quasi totale focalizzazione sull’analisi delle problematiche dell’infanzia, nelle psicoanalisi intraprese a fini formativi fino a pochissimi anni fa e, in molti casi anche oggi. D’altronde tutto ciò non può che essere legato, a sua volta, all’esperienza di analisi personale dello stesso psicoanalista formatore e sono le ultime generazioni ad aver avuto il privilegio di disporre di questa ulteriore sensibilità alla vita psichica di questa epoca della vita. Inoltre la fame d’oggetto del giovane paziente chiama lo psicoanalista a vigilare maggiormente sul suo essere una persona fonte d’identificazione, al servizio dei processi d’idealizzazione e sulla necessità di offrirsi quale referente adeguato e addirittura quale agente soggettivante.
La conoscenza o meglio lo studio continuo del pensiero, della cultura e della ricerca psicoanalitici sono oggi forse più di ieri irrinunciabili, se non altro per la velocità delle trasformazioni e delle mutazioni in corso nel mondo contemporaneo. Tutto ciò rischia di definire uno spartiacque tra chi vive la psicoanalisi in ascolto degli effetti del mondo esterno sui derivati dell’inconscio e dei transfert e chi si limita ad applicarla con fiducioso convincimento. Come non riconoscere, proprio per questo, quanto oggi la psicoanalisi possa rappresentare un’inesauribile fucina di pensieri e di vivi interrogativi? La principale posta in gioco per lo psicoanalista immerso nella contemporaneità mi sembra oggi essere soprattutto quella di avere a disposizione molti apporti (clinici, culturali, gruppali, sociali) per arrivare ad integrare nel suo essere persona e psicoanalista, un’autentica sensibilità alla vita psichica dell’altro, una naturale disposizione alla risonanza affettiva nei confronti dei vissuti del paziente fin dalle sue origini. Sarebbe auspicabile che lo psicoanalista fosse implicitamente in grado di metabolizzare il disagio dell’altro, offrendogli condizioni perché egli, più che cercare l’oggetto, possa cercare e trovare la sua «capacità di trovare» (Winnicott 1973). Il modello dell’esperienza di reciprocità madre/bambino costituisce il riferimento più responsivo alle sofferenze degli stati limite, narcisistico/identitarie, alle rotture di sviluppo degli adolescenti. Si tratta in questa prospettiva teorica di essere in grado di tenere dentro di sé la sofferenza psichica dell’altro e di non lasciarlo «cadere», di acquisire la forma adatta per tenere il paziente.
Rilevante è quindi per il formatore riuscire a fornire potenzialmente o apertamente un holding a colui che si sta formando, segnalandogli fiducia e simpatia nonché consapevolezza del flusso di emozioni, della pressione pulsionale intensa a cui egli sarà esposto nella relazione con i pazienti.
LAUFER M. (1978). The nature of the adolescent pathology and the psychoanalytic process. Psychoanalytic Study of the Child, 33, 307-322.
RICOEUR P. (1992). La persona. Brescia: Edizioni Morcelliana, 1997. WINNICOTT D.W. (1971). Gioco e realtà. Roma: Armando Editore, 1974.