Gianluigi Monniello
Le immagini di tanti esseri umani stipati fino all’inverosimile, in vecchi barconi sbattuti dalle onde, sono davanti ai nostri occhi, nell’attualità di questi giorni. Ma in tali condizioni è anche possibile che una donna etiope riesca a partorire, in vista di Lampedusa, un bambino, Yeabsera che, nella lingua dei suoi genitori significa «dono di Dio».
ARTICOLI ORIGINALI
PER UNA CLINICA TRANSCULTURALE DEGLI ADOLESCENTI
Marie-Rose Moro
DALL’ALTRA PARTE DEL MARE
Essere genitori e figli in terra straniera
Gaia Petraglia
DUE INTERVENTI ETNOPSICHIATRICI AL CENTRO MAMRE
Lelia Pisani, Maddalena Pompili, Cristina Zavaroni, Francesca Vallarino Gancia
IDENTITÀ MIGRANTI ALLA FRONTIERA DELL’ADOLESCENZA
Deniele Biondo, Pasquale Biancardi, Marco Bordino, Sara Colimegno, Maria Teresa Devito, Fabrizia Di Lalla, Giuditta Sestu
LE ADOLESCENTI FIGLIE DI IMMIGRATI
Mara Tognetti
MUTILAZIONI GENITALI FEMMINILI TRA FANTASMA E PRATICHE SOCIALI
Virginia De Micco
APPORTI CLINICI
ADOLESCENTI MIGRANTI AUTORI DI REATO
Ugo Sabatello, Ilaria Arbarello, Nadia Capriotti
L’ADOLESCENZA NEL BUSTO
Cilicio o Bolla Narcisistica?
Savina Cordiale
PER AIUTARLI A CRESCERE
PARTIRE O RESTARE?
Un percorso verso un’integrazione tollerabile
John Kozdine, Cristiano Curto, Savina Cordiale
ADOLESCENTI ED EDUCATORI
Dallo “shock tra i mondi” all’intreccio tra le culture
Dominique Dray
IL PUNTO SU
SPECIFICITÀ DELL’ANALISI DELL’ADOLESCENZA
Tiziana Catta
IN PRIMO PIANO
La mia casa è dove sono
Anna Piccioli Weatherhogg
RECENSIONI
Giacobbi S., Peter e Wendy. Psicoterapia psicoanalitica del paziente giovane adulto
Francesca Mammarella
Francesco Mancuso F., Resta D., L’adolescente in persona
Lauro Quadrana
SEGNALAZIONI
Depergola P., Giordano M., Martinelli Iannuzzi L., Marcello G., Romano P., Solinas G., Costruire reti di vicinanza
Solinas G. (a cura di) Segnali di comunità
Tito Baldini
Che adolescente sarà Yeabsera? Prevarrà in lui lo stigma del trauma vissuto dai suoi genitori o l’intensità di tale evento così forte, come solo la natura sa esserlo, alimenterà la sua resilienza e il suo potenziale creativo?
In Italia la riflessione sul fenomeno dell’immigrazione inizia ad essere consistente e non siamo più così pervasi da vissuti e ricordi dei tempi dell’emigrazione italiana, dalle immagini di treni verso il nord Europa o da quelle dei bastimenti per le Americhe. Oggi i nostri connazionali, all’estero, compongono, per lo più, comunità importanti in tanti paesi del mondo. Riguardo poi ai numerosi giovani laureati che vanno a formarsi e a lavorare fuori dall’Italia si parla, più propriamente, di «fuga» verso luoghi di ricerca scientifica più ricchi di prospettive.
Il pensiero di migrare può, nell’adolescente di oggi, evocare ancora viaggi straordinari in terre lontane o i passaggi migratori legati alle stagioni, per mare, verso temperature più miti? Può ancora far immaginare dimensioni e forme vitali in coloro che vorrebbero lasciar «gli stazzi» (D’Annunzio, 1903), e andare alla ricerca di nuovi insediamenti, per meglio vivere e dialogare con altre persone, con la natura e il suo potente linguaggio?
Si partiva, un tempo, portando con sé la propria cultura, le proprie tradizioni ed i propri antenati. Può ancora l’adolescente immaginarsi la sua migrazione, almeno in fantasia, verso territori favorevoli all’insediamento in se stesso, cioè al suo processo di soggettivazione? Può sognare luoghi lontani dove incontrare climi favorevoli, persone accoglienti e operose, magari anche un nuovo autentico amore? Soprattutto può conciliare tutto ciò con la nostalgia delle sue origini e con un’Itaca alla quale pensare, in vista di un viaggio di ritorno reale o comunque fantasticabile?
Tale fiducia verso ciò che si profila all’orizzonte può ancora albergare nell’adolescente di oggi che ha di fronte a sé tante immagini di migranti, il cui orizzonte è piuttosto un naufragio disperato e disumanizzante?
La drammatica obbligatorietà del migrare di tanti giovani di paesi poveri, lacerati da guerre e carestie, suggerisce e fa prevedere, piuttosto, pericoli e rischi per la loro strutturazione psichica. Le possibili evocazioni poetiche di tali viaggi sono meno illuminate dalla speranza e possono comportare il prezzo di recidere le loro radici culturali, senza alcun premio finale.
Le vaste dimensioni degli attuali fenomeni migratori alimentano l’etnopsichiatria, disciplina sempre più impegnata nella clinica delle esperienze post-traumatiche, della psicopatologia dell’esilio, alla ricerca di soluzioni terapeutiche «transculturali». Sono in primo piano i possibili esiti del trauma della migrazione, accidentati e ancora da approfondire, sulla prima e sulla seconda generazione. Sono lontani i tempi dell’osservazione visionaria e partecipe da parte di viaggiatori, antropologi e clinici appassionati, anche se comunque colonizzatori, «ammirati» dagli usi e dai costumi di popoli lontani, portatori di culture «esotiche». L’espressione «mal d’Africa» evoca ancora tale fascinazione e, al contempo, rivela l’inquietante paradossalità di quelle esplorazioni.
D’altra parte negli ultimi decenni la globalizzazione limita ulteriormente la sorpresa e il fascino dell’incontro con altre e diverse culture. C’è molto meno spazio per l’immaginazione anticipatrice, per osare la speranza di scoperte trasformative di uomini e di mondi nuovi.
Gli orizzonti si sono ristretti e la vicinanza, talvolta addirittura la rapida invasione, rende lo straniero temibile e pericoloso. Non si ha più il tempo di mettere in comune la propria terra; l’esperienza della comunanza, cioè il trovare l’uguale nell’estraneo, non riesce ad essere sentita come un bene da estendere. Spesso la rapidità degli eventi non permette di avviare la riflessione. Piuttosto la brusca messa alla prova dei propri confini territoriali e personali alimenta i vissuti e le soluzioni difensive. Anche gli apparati psichici risultano minacciati e indeboliti. I fantasmi che alimentano le paure vanno analizzati a fondo, perché nessuno può ritenersi esente o immune e ciascuno è abitato dai propri.
Così l’ottimismo delle differenze e del molteplice, l’idea che l’incontro con culture straniere possa soprattutto produrre contaminazioni feconde, rafforzare i corredi genetici, migliorare l’uomo attraverso l’ibridazione e il meticciato, si fronteggia sempre più, nel mondo contemporaneo, con la diffusione di vissuti drammatici di smarrimento identitario, con la crescita esplosiva delle divisioni e delle esclusioni sociali, e impone il ripensamento sulle fondamenta della convivenza, del vivere cum.
Qualche anno fa il filosofo francese Jacques Derrida, migrante algerino, a Parigi, a 19 anni, ha messo al centro delle sue riflessioni filosofiche e politiche il concetto di etica dell’ospitalità o meglio dell’etica come ospitalità. Già riflettendo sull’etimologia l’Autore ha rimarcato il nesso strettissimo tra hospes (ospite) e hostis (nemico), indicando come lo straniero, il migrante, possa essere accolto come ospite o come nemico sia della comunità che del singolo. Colui che arriva, «l’arrivante» interroga profondamente l’ospite sulla sua autentica disponibilità a fare spazio al nuovo e al diverso. Tale disponibilità non può che essere l’espressione di una posizione etica, basata sull’intuizione che la «giusta ospitalità» rappresenti una buona fonte di miglioramento personale per il soggetto ospitante.
Anche il mondo della psicoanalisi ha vissuto le sue migrazioni.
Scrive Jones (1953): «L’invasione dell’Austria da parte dei nazisti, che ebbe luogo l’11 marzo 1938, segnò per Freud il momento di partire da casa per una terra straniera, seguendo con questo la dolorosa via così spesso battuta dai suoi avi. Questa volta però partiva per un paese che lo accolse meglio di qualsiasi altro». Così tanti altri psicoanalisti, nello stesso periodo e per le stesse ragioni, partirono per l’Inghilterra e per gli Stati Uniti, altri si rifugiarono in Svizzera. Anni dopo fu l’America Latina a veder partire molti psicoanalisti, sempre per via di persecuzioni politiche.
Dal punto di vista della riflessione psicoanalitica l’incontro con il mondo interno dei migranti rimanda, senza dubbio, alla capacità di ospitare dentro di sé il non prevedibile, in particolare quanto della vita psichica dello straniero non appartiene al mondo culturale dell’analista. La posta in gioco è allora il riuscire a dare tempo a quel paziente, perché i suoi vissuti provenienti da un altro mondo possano sufficientemente albergare, trovare ospitalità prima di trovare termini nuovi per essere descritti.
Come non pensare al primo incontro del bambino con «l’essere umano prossimo», quel Nebenmensch di cui parla Freud nel Progetto (1895)? Quello che affascina in questa espressione è che Freud si riferisce alla condizione di scoperta e timore che definisce l’inizio della vita. Sono proprio questi tempi originari ad essere mobilitati, messi in tensione nell’incontro con i migranti. C’è un prevalere del percettivo, prima che si possa pensare, organizzare una strategia cognitiva per far fronte alla complessità del fenomeno. Sulla base di queste concettualizzazioni la psicoanalisi può fornire sfondi per la riflessione, per la realizzazione di interventi utili e costruttivi.
Tutto ciò evoca la relazione al non conosciuto dell’altro primordiale. Il riferimento è al tempo delle origini del soggetto, quando si giocano le aperture al mondo e le precocissime chiusure verso l’esterno. Da qui originano le speranze per il nuovo mondo, le spinte alla solidarietà profonda e la mistica del diverso.
Certamente ci sono rischi e ci sono opportunità nell’incontro con i tanti giovani migranti che ormai abitano accanto a noi indigeni.
Cruciale appare allora l’esperienza viva di entrare concretamente in contatto con il migrante. Il lavoro di quanti esplorano la complessità di mondi umani e culturali, che si incontrano «per cause di forza maggiore», non può che tentare di elaborare un’«ontologia tattile» (Derrida 2000). Scoprire insomma attraverso il tatto e con tatto l’altro diverso da sé.
Tali dinamiche non possono che trovare una loro forte risonanza nella mente adolescente impegnata nell’integrazione delle proprie potenzialità, della propria storia personale e transgenerazionale, così come nell’esplorazione del mondo esterno, culturale, ideale, religioso e politico.
La sua attività fantasmatica, i suoi romanzi familiari e i suoi oggetti d’identificazione, i suoi possibili referenti adulti si rielaborano, si costruiscono nuovamente nell’incontro con il paese ospitante, spesso inospitale e con tutti i suoi rappresentanti. Altre volte è il mondo che si portano dietro o dentro a dover essere sacrificato per sperare in ado- zioni da parte di genitori adottivi non sempre desideranti o ignari delle loro paure.
Profondi, quindi, sono gli interrogativi sui destini e sulle evoluzioni in particolare delle seconde generazioni, quelle composte dai figli adolescenti dei migranti. La prospettiva favorevole di potersi costruire una identità cosmopolita, di sentirsi il «primo della stirpe», chiama necessariamente in causa la solidità delle proprie origini e la giusta ospitalità da parte della comunità che accoglie.
D’ANNUNZIO G. (1903). I pastori. Alcyone. Sogni di terre lontane. In: I Meridiani
Versi d’amore e gloria. Vol. 2. Milano: Mondadori, 1984.
DERRIDA J. (1996). Sull’ospitalità. Tr. it. Milano: Baldini & Castoldi, 2000.
DERRIDA J. (2000). Le toucher. Jean-Luc Nancy. Paris: Galilèe.
FREUD S. (1895). Progetto di una psicologia. OSF, Vol. 2. Torino: Boringhieri, 1968.
JONES E. (1957). Vita e opere di Freud. Tr. it. Milano: Il Saggiatore, 1963.