La Biblioteca dell’ARPAd ha presentato l’ultimo libro di Anna Ferruta Una finestra sulla psicoanalisi edito da Raffaello Cortina Editore.
Hanno dialogato con l’Autrice Giovanna Montinari e Paolo Boccara.
Anna Ferruta è Psicoanalista con funzioni di Training della SPI di cui è stata anche Segretaria Scientifica e Direttrice dell’Istituto Nazionale di Training.
Membro dell’Editorial Board dell’International Journal of Psychoanalysis e Membro Fondatore di Mito&Realtà – Associazione per le Comunità Terapeutiche e Residenziali.
Recensione a cura di E. Casini
La finestra a cui si affaccia Ferruta comprende un panorama molto vasto, un panorama osservato con cura dallo sguardo esperto di chi ha sondato a lungo i paesaggi della psicoanalisi: il lavoro clinico e istituzionale, la formazione didattica, le strade percorse e ripercorse delle riflessioni teoriche… troverete anche aperture verso i nuovi orizzonti della psicoanalisi, verso le sue complessità e contraddizioni. Ma ciò che lega questi differenti paesaggi è una concezione della psicoanalisi come: “un metodo per rendere la vita più umana, come una disciplina del vivente che sonda e allarga la dimensione del soggetto e dell’ambiente”.
L’Autrice affronta in questo libro i temi fondanti della psicoanalisi: l’inconscio, il sogno, la capacità di giocare, la relazione corpo-mente, la gruppalità… in una composizione complessa che intreccia in modo originale clinica e teoria. C’è al fondo di queste tematiche una costante tensione al riconoscimento dell’alterità, delle diverse forme del vivente e delle sue potenzialità inespresse, in un’ottica profondamente intersoggettiva in cui il prendersi cura si configura come fondamento antropologico strutturante: riguarda l’essere umano – scrive Ferruta – nella sua dimensione globale, biologica e simbolica.
Da sempre interessata allo studio e al trattamento delle patologie gravi e all’estensione delle ricerche sul funzionamento della mente, Ferruta si interroga su come istituire con i diversi pazienti una specifica situazione analizzante. Non è il paziente dunque ad essere difficile ma è l’analista ad avere difficoltà a funzionare per quel paziente come oggetto trasformativo. Ne consegue che l’oggetto da salvare in analisi – scrive Ferruta- è sempre “il legame con un altro soggetto”. E perché ciò avvenga l’analista per primo è convocato ad ospitare emozioni intense, se necessario a trasformare se stesso e le regole del gioco analitico. Questo assunto di metodo custodisce – per Ferruta – la dimensione creativa che è al cuore dell’esperienza analitica.