Scritti

COME E’ POSSIBILE?! – Riflessioni di Cinzia Lucantoni circa un fatto di cronaca

Un fatto di cronaca recente ha colpito l’opinione pubblica.

Si tratta di una ragazza di 22 anni, Chiara P., che ha tenuto nascoste due gravidanze – ad un anno circa di distanza l’una dall’altra – e, seppellito nel giardino di casa i due neonati.

Non conosco la frequenza di casi simili, ma basta tornare a pochi mesi prima, a luglio dello stesso anno, per trovare, in Calabria, una vicenda del tutto simile. Una gravidanza occultata da una ragazza di 24 anni e la nascita, in quel caso, di due gemelli, i cui corpi senza vita sono stati trovati casualmente nel fondo di un armadio.

Queste vicende hanno in comune – almeno per quanto ci è dato sapere- lo svolgersi dell’intero percorso in un occultamento tale per cui nessuno, neanche nell’ambiente familiare entro cui le ragazze vivevano, si è accorto della gravidanza, e in seguito di un parto in assoluta solitudine, che si conclude con la morte e la sepoltura dei corpi dei bambini.

Dunque la vicenda di Chiara ha avuto più risonanza mediatica, ma è esemplare di un fenomeno non unico nel suo genere.

Vorrei iniziare questa breve riflessione, partendo da ciò che più comunemente evoca una vicenda simile. “Come è possibile?” è la  prima domanda che  sorge spontanea. Una domanda che sottende una sorta di inconcepibilità, impensabilità della vicenda.   Di fronte ad una tale efferatezza, il pensiero sembra esprimere il bisogno di un solco invalicabile tra noi e lei. Come quando, di fronte al responsabile di atti efferati, si usa l’appellativo de Il mostro, collocando quell’essere umano anche più in là della follia, nell’area dell’indicibile.

Nei casi di cui parliamo c’è anche qualcosa di più, la metamorfosi perturbante che trasforma una madre, emblema di amore e cura, in una assassina di bambini. Un esempio calzante di ciò che Freud definisce perturbante: qualcosa di vicino, familiare, rassicurante, si ribalta vertiginosamente nel suo contrario.

Nonostante io non mi senta estranea a questo automatica spinta al distanziamento, vorrei riflettere al di là di questo bisogno di marcare territori e al di là del giudizio etico.

Alcuni commentatori hanno cercato di spostare il punto di vista dalla ragazza all’ambiente più stretto attorno a lei. Ne hanno sottolineato la solitudine, segnalando l’incapacità dei familiari di “vederla”, estendendo la considerazione a fenomeno che in misura maggiore o minore caratterizza negativamente l’epoca che viviamo.

E’ possibile, ma   non è affatto detto che la riuscita dell’occultamento della gravidanza sia legata a questa miopia familiare. Più che di solitudine parlerei in questo caso di solipsismo.  Nell’area del solipsismo ogni realtà è ridotta e risolta in sé medesimo, l’esame di realtà si perde, se ne perde soprattutto il senso di ponte tra sé e gli altri.  Questo, ovviamente, non si può realizzare senza un illusorio senso di onnipotenza, dove il bisogno del rapporto con l’altro   è annullato.

Al contrario, il senso di solitudine rimanda alla mancanza di contatto, implica un desiderio non realizzato, ma presente, dell’altro.

Nell’area del solipsismo viene eretta una tale negazione della realtà da credere di   potere rendere un fatto (qui la gravidanza e le sue conseguenze) equivalente al non avvenuto.  Si crea un alveo escluso dalla quotidianità, che continua apparentemente indisturbata: familiari e conoscenti descrivono una ragazza che studia, ha un ragazzo, fa la baby-sitter, nessun segno allarmante nella sua vita. La Chiara che prosegue la gravidanza e partorirà con le sue stesse mani, vive dunque clandestinamente di vita propria, in una dimensione, appunto solipsichica.

Che posizione ha, mi chiedo, la funzionalità dell’Io, che traspare nella vicende quotidiane di una ragazza che vive pienamente la vita di   una giovane adulta? Penso che in quell’altrove la forza dell’Io, slegata dall’esame di realtà, sia “pervertita” e convogliata agli scopi della negazione. Perché ci vuole forza, in fondo, per partorire con le proprie mani, e portare a termine l’intera parabola, con straordinaria coerenza con la potenza della negazione, del mai avvenuto, fino all’occultamento dei corpi dei bambini.

Winnicott nel suo scritto “l’odio nel controtranfert” osserva come l’ambivalenza verso la gravidanza prima e il bambino poi possa essere un ingrediente non necessariamente patologico, perché ampiamente stemperato dalla spinta alla cura e all’immedesimazione con il piccolo essere appena nato, in sostanza, dall’amore per lui.

Ci sono però dinamiche in cui questa diluizione non avviene, e l’equilibrio della ambivalenza si scompensa nella direzione dell’odio. Ma- a mio parere- le situazioni di cui parliamo sono più complesse, e anche se ci è difficile pensarlo, non sempre un atto, pur così efferato, è sostenuto dall’odio. La scissione crea un’area, per così dire, di extraterritorialità con leggi del tutto proprie, dove non vi è ambivalenza e quindi neanche conflitto e colpa. La nascita dei bambini rientra in questo alveo e non riesce a irrompere come elemento di realtà; la distruttività della vita nascente è unicamente uno strumento piegato allo scopo di rendere non avvenuta la gravidanza e le sue conseguenze.

Restano tanti punti interrogativi insoluti. Che parte di sé ha soppresso Chiara non permettendo ai bambini di vivere?

Cosa produce ora in Chiara lo svelamento e la valanga di sollecitazioni anche mediatiche? Cosa rimane della forza di quella scissione?

Non sappiamo se sarà possibile venire a patti con la realtà, certamente pagando un prezzo alto di colpa e dolore, o se l’intero Sé sarà soggiogato dalla stessa deriva psicotica che ha sostenuto la scissione.

 

 

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