Scritti

PSYCHOTHERAPY AND PERSONAL CHANGE. TWO MINDS IN A MIRROR di Ahron Friedberg (2021). New York: Routledge

Recensione presente in Ventanni AeP Adolescenza e Psicoanalisi N. 1 anno 2022

A cura di Sofia Massia

 

Perché commentare Psychotherapy and personal change – Two minds in a mirror, di Ahron Friedberg, testo americano pubblicato nel gennaio 2021?

Con vivo piacere fornisco al lettore qualche impressione connessa all’interesse suscitato dalla lettura di questo libro e relata all’approfondimento curioso e incuriosito che parte dalle domande e dalle traiettorie associative conseguenti. Il libro rimanda in prima battuta al desiderio di conoscere lo stato dell’arte e la temperatura concettuale d’oltreoceano,

con specificità e universalità teorico-metodologiche, cercando ponti e, come suggerisce Luchetti (2020, p. 8), cercando connessioni e peculiarità tra due ambiti, tra due scuole di psicoanalisi con matrici e radici culturali più o meno differenti, tra traduzioni non solo tra due lingue e due tradizioni culturali, ma fra due pensieri, intorno però a un oggetto comune. E come già sostenevano Borgogno e Vigna-Taglianti (2007, p. 7) quando ci ricordavano che se un concetto o una posizione teorica vengono elaborati in luoghi e culture diverse con linguaggi metapsicologici differenti, ciò rappresenta indubbiamente un segnale di un cambiamento in fieri che non si può più negare o evitare. Oppure – chissà? – come dice Greenberg (2021, p. 114) in parti diverse del mondo gli analisti pensano e lavorano in modo diverso da noi in nord America. Chissà?

Specificità, differenze, similitudini, dunque: vediamo.

Friedberg è Professore di Psichiatria Clinica alla Scuola di Medicina Mount Sinai Ichan di New York, una delle più prestigiose di New York, è editor di molte importanti riviste americane, diffuse anche in Europa, e in questo modo integra l’attività clinica quotidiana con quella didattica. Egli si riconosce nell’approccio della psichiatria psicodinamica,

in una visione nosografica integrata della mente. E assume la psicoanalisi come la metodologia d’elezione per tale intento in cui la biologia della mente, il «cervello», entra nella stanza d’analisi in una visione che ci rimanda per esempio ai contributi di Busch (2019) e di altri autori raccolti nel numero 39/2019 di Psychoanalytic Inquiry, una monografia sul rapporto tra neuroscienze e psicoanalisi.

Il testo di Friedberg mostra quindi la necessità – indispensabile nella competenza clinica incarnata – della professionalità teorica strettamente e costantemente connessa alla dimensione esperienziale, utile nella trasmissione della professione. Il come, oltre che il cosa, trasmettere è oggetto recente di dibattito anche in Italia (cfr. Rivista di Psicoanalisi n. 1/2021) per approfondire come abbia luogo il passaggio delle consegne della nostra disciplina tra una generazione e la successiva.

Di conseguenza, l’obiettivo di saper vivere teoria e clinica in interscambio continuo è una meta cui tutti miriamo ed è anche lo scopo degli insegnamenti che proponiamo ai giovani nelle nostre scuole di psicoterapia psicoanalitica. Un intento non semplice da raggiungere e da mantenere, nel modo il più possibile costante, nel corso della nostra pratica professionale e che richiede un ripetuto e faticoso ripensamento come ci segnala lo stesso Ahron (p. 12) quando ci confessa che quotidianamente – a fine giornata o tra un paziente e l’altro – appunta note, pensieri, stralci delle sedute dei suoi pazienti. Ed è un metodo tenacemente seguito anche da Franco Borgogno – utile, ci ricorda, allo svilupparsi

del feeling con il paziente – come egli ci ha mostrato in Una vita cura una vita (2020), recentemente recensito in queste pagine.

Se la rilettura degli appunti clinici connette memoria e sorpresa nella prosodia dialogica, permette – proprio essa – al logos di svilupparsi gradualmente, laddove è possibile rinvenire come la storia passata del paziente, o alcune parti di essa, siano immanenti in ogni seduta e come essa spesso intrappoli il paziente esattamente nell’hic et nunc (p. 21), per diventare però il punto di partenza per la nuova storia che si rispecchia tra il terapeuta e il paziente. Il new beginning per dirla alla Balint.

Che cos’è la terapia, si chiede Ahron Friedberg? E che rapporto c’è tra cura, presa in carico dei sintomi e psicoanalisi? Cosa avviene all’interno di una seduta? Bion in Trasformazioni sostiene che qualche cosa avviene durante una seduta: «i fatti in sé» della seduta (1965, p. 31). Quali siano i fatti in sé, non si potrà mai sapere; quindi li indicherò con il segno «O». Avviene però qualcosa nella direzione della verità del paziente. Friedberg con pazienza si occupa di capire e di delineare in dettaglio come avvengano i cambiamenti e cosa favorisca la cura, il prendersi cura e la guarigione del paziente, individuando nelle connessioni emozionali collegate al parlare e all’ascoltare ciò che davvero accade all’interno della seduta.

Consapevole dell’interconnessione tra i fattori di cura e di guarigione, Friedberg durante tutto il testo, si occupa di uscire dall’aporia sottesa in Bion che talora produce le accuse di non scientificità della psicoanalisi. Ahron parte dalla metafora dello specchio. Uno specchio, però, metafora concava della dinamica di transfert-controtransfert, uno specchio1 in cui la reciprocità è contemporaneamente la linea di congiunzione, ma anche di confine tra chi osserva ed è osservato dallo sguardo dell’altro, sguardo in cui osserva a sua volta se stesso.

Per l’Autore questa dinamica, che possiamo a ragione individuare nello specchio concavo, è cosa in sé, un a priori kantiano per mezzo del quale conosciamo e curiamo efficacemente. Da qui si aprono molte finestre di approfondimento sui cardini essenziali della relazione terapeutica e su come si sviluppi il movimento concavo tra analista e paziente.

Se il movimento è percepibile ed è pensabile solo nello spazio – ci dicono i fisici a partire da Aristotele – allora la pensabilità concava della relazione terapeutica ha luogo nella sede potenziale, intermedia, transizionale della relazione tra madre e bambino, tra soggetto e oggetto, tra analista e paziente, in uno squiggle game winnicottiano continuo ed efficace all’interno di un ambiente di holding. In questo spazio transizionale di holding Winnicott (1971), da psicoanalista- pediatra, ci racconta che si permetteva la libertà di ingaggiarsi nella relazione invitando il bambino al di là delle regole a stare sì alla regola, ma quella libera e creativa: la regola della relazione tra due persone. Regola già costruita da Ferenczi (1908/1933) e presente in tutti i suoi scritti.

Friedberg ci spiega con dovizia di particolari utilizzando moltissime, preziose e precise vignette cliniche, gli aspetti – i flussi e riflussi – che ritiene i fondamenti della sua regola della relazione facendo di essa un ritratto – quasi un autoritratto alla Parmigianino2 – con la cura del dettaglio tipica del manierismo artistico.

Gli esempi clinici utili per avvalorare e sostanziare il discorso pervadono tutto il testo che si compone e si sviluppa in otto cardini che parcellarizzano e poi ricongiungono. Parlare e ascoltare, fiducia, tempo e denaro, empatia e relazione, il passato prossimo, insight e comprensione, verità e dubbio, amore e guarigione: questi i capitoli e in tutti l’enfasi è sulla dinamica della reciproca infezione analista-paziente che conduce però al processo di guarigione. Ogni capitolo è corredato poi da un’interessante e specifica bibliografia di riferimento che spazia da autori europei a illustri colleghi americani. Anche per l’Autore il primo step è definire il problema, o meglio ciò che il paziente ritiene essere il suo problema, la motivazione consapevole che attraverso un ragionamento clinico alla Heimann, si dipana, sviluppa e permette la costruzione di una base sicura relazionale nella fiducia mutua, biunivoca tra clinico e paziente. La fiducia è il prerequisito essenziale che consente e sostiene i cambiamenti nel paziente (p. 31). Come costruire la fiducia fin dall’inizio? Il pensiero di Friedberg rimanda – a mio avviso – al contributo di Wille quando questi, riferendosi

ai primi colloqui, sostiene: sviluppai una tecnica più interattiva con la quale la valutazione del paziente divenne qualcosa che assomigliava maggiormente a un incontro tra persone (2013, p. 932). Un incontro pervaso in primis dalla fiducia dell’analista nella propria metodologia. Fare esperienza, nell’incontro analitico, della fiducia permette al paziente d’impratichirsi emotivamente di essa all’interno dello spazio potenziale, di identificarsi con un oggetto sicuro e di poterlo introiettare.

Tra tutti gli elementi descritti dall’Autore, mi sono soffermata sulla fiducia – che significa implicitamente anche sapersi assumere dei rischi – perché è un elemento essenziale e trasversale, anche per la chimica degli interventi brevi, sia con gli adolescenti che con gli adulti.

È necessario poi che la fiducia per prendere forma nell’incontro relazionale sia accompagnata dal desiderio profondo del paziente nel cambiamento (p. 139): in questo specifico intreccio l’Autore ci mostra la sua umiltà nell’aiutare il paziente a dar voce alla propria autentica specificità, al proprio idioma.

Merita una riflessione come l’Autore si approcci, con tatto e sensibilità, al problema della diagnosi. Su questo specifico punto mi pare di ravvisare la sua posizione dialettica, se non addirittura critica nei confronti del trend che si respira nella cultura del nuovo mondo, in cui la nosografia da DSM impera.

Friedberg invita a comporre la diagnosi tenendo conto della storia di vita del paziente (p. 136) con quella dialettica tra categorie diagnostiche e processo diagnostico così cara ai clinici che si occupano di adolescenti.

Verso il termine del libro (p. 144), nel posizionarsi in modo lucido e puntuale nell’accesa diatriba tra i sostenitori di diverse scuole di pensiero, l’Autore non teme di ribadire che la guarigione non è la semplice remissione dei sintomi, ma una sorta di processo emozionale affettivo correttivo, per dirla con Franz Alexander, psicoanalista che egli rivaluta

e che fa da trait d’union tra la scuola di Budapest e gli U.S.A., dove ha fondato la scuola di Chicago.

Un libro, questo di Freidberg, sensibile e scorrevole che ha inoltre il pregio di essere scritto in un inglese facilmente accessibile, utile sia ai giovani per la chiarezza dell’esposizione teorico-clinica che ai professionisti poiché ricco di spunti sugli aspetti della clinica day by day, della novella maieutica.

Bibliografia

AeP Adolescenza e psicoanalisi – Diagnosi, n. 1, 2018.

(2021). Rivista di Psicoanalisi. n.1 Gennaio/Marzo. Società Psicoanalitica Italiana.

BION W. R. (1965) Trasformazioni. Il passaggio dall’apprendimento alla crescita.

Roma: Armando, 1973.

BORGOGNO F. (2020). Una vita cura una vita. Torino: Bollati Boringhieri.

BORGOGNO F., VIGNA-TAGLIANTI M. (2007). L’analista in «gioco». Roma: Borla.

BUSCH R.N. (2019). Prologue: the influence of neuroscience on psychoanalisys.

A contemporary perspective. Psychoanalytic Inquiry. 39, 8, pp.

531/533.

FERENCZI S. (1908-1933). Opere. Voll. I-IV. Milano: Cortina, 1989.

GREENBERG J. (2021). Training psicoanalitico e attitudine analitica. Rivista

di Psicoanalisi, LXVII, 1, pp. 105-118.

KOHUT H. (1986). La cura psicoanalitica. Torino: Bollati Boringhieri.

LUCHETTI A. (2020). Giocare con Green che gioca con Winnicott. In: Green A.

Giocare con Winnicott. Torino: Rosemberg & Sellier.

NOVELLETTO A. (2009). Il misterioso salto tra diagnosi e terapia. In: L’Adolescente,

Roma: Astrolabio, pp. 65-91.

WILLE R. (2013). La fiducia dell’analista nella psicoanalisi. Rivista di Psicoanalisi,

LIX, 4, pp. 913-960.

WINNICOTT D. W. (1971). Colloqui terapeutici con i bambini. Interpretazione di

300 «scarabocchi». Roma: Armando, 1974.

  1. Oltre che ai sostenitori della TCC e agli psicofarmacologi.

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