Riflessioni di Savina Cordiale.
In un mondo che ha smarrito il senso del limite e la capacità di riflettere su ciò che la Storia ci ha insegnato, l’Europa, dopo la guerra metaforica della pandemia, si trova al confine di una guerra reale.
Essere adolescenti e giovani adulti sotto la guerra, rappresenta, in tutte le guerre, una condizione tragica per lo psichismo di questa fase specifica della vita. Come psicoanalisti dell’adolescenza e della giovane adultità, sappiamo che coltivare la guerra provoca serie conseguenze nei giovani in quanto l’apprendimento all’odio e alla sopraffazione dell’Altro determina una pericolosa effrazione nel processo di soggettivazione.
In guerra, gli adolescenti e i giovani sono testimoni o vittime di traumatiche violenze che si esprimono a breve o a lungo termine. Il confronto con la vista dell’orrore, con la vicinanza della morte, costituisce un attentato all’integrità psichica che si cumula con altre prove: le perdite e le separazioni affettive, le distruzioni materiali, l’esodo. I giovani devono affrontare un politraumatismo, il loro avvenire, la loro sopravvivenza, dipendono dalle loro capacità di contenimento e di adattamento a questo eccesso di stimolazione. La vita di prima non esiste più; la gravità della realtà di guerra, la forte sollecitazione dell’Io, portano questi giovani a non sentirsi più se stessi. Inoltre il sistema del potere che costruisce la guerra li spinge ad una ipermaturità, chiamandoli comunque a combattere.
Negli eserciti degli invasori e degli invasi non ci sono solo gli adulti, ci sono anche i diciottenni che sono vittime di combattimenti esterni e di disordini interni difficili da nominare. Giovani soldati che sperano di rimanere vivi e fisicamente indenni, a differenza di tanti altri che sono stati loro accanto, morti o gravemente menomati. Giovani che sperano di riuscire a superare l’intenso disadattamento psicologico che potrà perderli. Così come in un altro tipo di fronte, i ragazzi che vivono sotto la minaccia della guerra o nel clima di guerra combattono come possono per dare voce al loro desiderio di futuro.
“Noi non siamo nati per la guerra” postano clandestinamente sui social i ragazzi ucraini a cui non è consentito fuggire; “Non vogliamo la guerra” urlano nelle piazze delle città i ragazzi russi, prima di essere arrestati.
In questa guerra così vicina come in quelle in territori lontani, il terapeuta di adolescenti è chiamato a prestare l’aiuto necessario a fronteggiare la sofferenza psichica e l’avvenire psicosociale dei giovani che hanno subito l’impatto diretto della guerra sulla psiche o sono sconvolti dalle rievocazioni della guerra, perché anche quando le armi tacciono, la guerra ricomincia da capo nel ripensarla, riviverla. E fa ancora più paura.
Accogliere e contenere nel ripensare e rivivere, trovare parole o forme espressive per raccontare l’inenarrabile, rappresentano un possibile rimedio alle tendenze distruttive e autodistruttive dei ragazzi che portano in sé gli esiti della rottura della continuità dell’essere provocata dalla guerra.